8 March 2010
Pensavate che fossi stata rapita nel deserto o scambiata per un centinaio di cammelli? No, purtroppo sono tornata. Purtroppo si, perché passare da 26 gradi di Marrakech ad una manciata di gradi di Londra, è un trauma non indifferente. Traumatico è stato il ritorno, come non mai. Di posti ne ho visti, visitati, e di vacanze ne ho fatte, ma questa è stata un'immersione senza fiato in un mondo totalmente diverso, mai esplorato prima e neanche immaginabile nonostante le foto o i video o di come ce lo raccontano i film.
Trascorsa la notte in bianco in aeroporto, grazie a Santa Ryanair che fa partire i suoi fantastici voli low cost, non tanto low cost ormai, alle 6 del mattino. Una famiglia di rumeni mi ha tenuto compagnia per tutta la notte, le signore non riuscivano a smettere di parlare, sembravano mitragliette impazzite, bevevano caffè nero bollente e si tenevano svegli fino al collasso totale proprio quando io avevo deciso che ormai di dormire non se ne parlava più.
L'aeroporto di Luton è minuscolo, i passeggeri in attesa del proprio volo stazionano in una saletta aperta tutti assieme. C'è chi cammina avanti e indietro, chi russa beatamente, chi dorme a terra e chi continua a guardare giornali a scrocco nell'edicola all'angolo della piazzetta.
Il volo è in orario. E vorrei vedere se alle 6 si permettono anche di ritardare. Superato brillantemente il check in e l'ansia di trasportare più del peso consentito, si sale a bordo e finalmente crollo in un sonno altalenante, interrotto più volte dalla voce assordante della hostess che cerca di vendermi patatine, caffè, gratta e vinci e popcorn. La ignoro infilandomi due auricolari nelle orecchie, ascoltando Tchaikovsky nella speranza che almeno lui mi addormenti per le prossime 3 ore e 20 di volo.
Eh si, il Marocco sta proprio giù giù, guardo la mappa sulla rivista di fronte a me, mi ricordo di quando ho volato più o meno alla stessa altezza per andare a Lanzarote, anni fa.
Il capitano dice che a Marrakech è nuvoloso e che pioviggina. Impreco in arabo ma poi mi dico "Seeee, figurati se in Marocco piove".
Come spesso accade, negli ultimi attimi di volo, socializzo con i miei vicini. Con gli inglesi si fa fatica a socializzare anche se stai in una camera di un metro quadrato per ore ed ore. Se non gli parli tu, loro ti ignorano allegramente. E' una coppia che sta andando in Marocco per una mini vacanza di golf. In realtà il marito golfeggia, la moglie prenderà il sole o raccatterà le palle.
Tiriamo tutti un bel sospiro di sollievo toccando terra. Nessun aereo dirottato, nessuna bomba, nessun pazzo a bordo, tutto regolare.
L'asfalto è umido e qualche nuvola in effetti c'è, ma il sole sta proprio dietro l'angolo e spunta. Alè, certo non ci sono 40 gradi ma l'aria si sente, è diversa.
Il primo impatto è stato immediato. Si percepisce esattamente di essere atterrati in un posto nuovo, diverso. Il controllo passaporti dura una vita, poi per fortuna nessuna valigia da ritirare e subito mi attende all'uscita, un poliziotto con un mitra e un mucchio di uomini vestiti di scuro tutti ad attendere qualcuno, molti di loro con dei cartelli in mano.
Dall'alto si nota subito, sembra una piazza di un piccolo centro, abitato solo da uomini. Le poche donne che circolano sono accompagnate da altri uomini o coperte. Gli uomini si baciano sulla guancia per salutarsi, le donne in alcuni casi stringono la mano ma niente più.
L'aereoporto Menara mi sembra bellissimo. I vetri sembrano ricamati a mano come i tatuaggi all'henna che le ragazze fanno in piazza, sulle mani dei turisti. Oltre alle sedioline di plastica su un lato, ci sono anche dei divanetti coloratissimi e una musica arabeggiante proveniente da un angolo dello stesso aeroporto che di per sé già sembra un mercatino.
Vengo trasportata in macchina dall'aereoporto al Riad Karim. Una tipica casa marocchina con sole 4 camere da letto, nel cuore della Medina, il centro storico di Marrakech. L'enorme macchina che mi trasporta, attraversa stradine piccolissime, piene di persone, di motorini, di frutta e verdura e di carne appesa.
I negozi a Marrakech sono "da fuori per fuori", ovvero non ci si entra come nei nostri tipici negozio di alimentari o macellerie, ma la merce è esposta e il compratore sta al di fuori.
Nonostante la notte trascorsa in bianco, arrivo al Riad, e, giusto il tempo di guardarmi in torno e una doccia, mi tuffo subito nelle vie colorate e l'avventura ha inizio.
Di nuovo, l'impressione è quella di essere circondata da tanti uomini, ogni tanto qualche donna con la busta in mano si intravede, coperte alcune, meno coperte le altre ma pur sempre con un vestire rigorosamente casto. Nonostante il mio aspetto tipicamente terronico, vengo notata come una turista e a turno i commercianti ad ogni angolo di strada, cercano di vendermi qualsisi cosa: dai tappeti all'olio per i massaggi, dalle spezie alle ciabatte.
Aihmè incappo subito in un "vicino di casa" il quale con un inglese quasi perfetto cerca di rifilarmi spezie che probabilmente stazionano nel suo negozio dai tempi del dopoguerra. Un po' stizzita io gli dico che ora me ne vorrei andare un po' a zonzo, che sono appena arrivata e non mi va di fare già shopping. Lui mi fa promettere, con tanto di stretta di mano, che tornerò a comprare le sue fantastiche spezie e che il prezzo sarà sicuramente vantaggioso, non come quelle che vendono laggiù. Ho fatto una cosa che non avrei mai dovuto fare. Promettere. Una promessa è una promessa ovunque, ma a Marrakech lo è in maniera particolare.
I commercianti si ricordano di te, se gli dici "torno dopo", loro ti fermano ogni volta che passi, e ti chiedono se il "dopo" è finalmente arrivato e tu continui a dire, "torno dopo" e loro imprecano qualcosa in arabo e anche a questo giro te li sei levati dai piedi.
Mi ero messa in testa ad un certo punto di fare l'affare del secolo e comprare un tappeto. Ma non un tappetino piccolo, una roba enooooorme. Sicchè sono entrata in uno dei tanti negozi di tappeti, del resto anche un po' guidata dai commercianti stessi, e sono entrata nel paradiso del tappeto per eccellenza. Tappeti ovunque. Gialli, rossi, gialli e rossi, verde, scurino, scuretto, carino, bello, enorme, caro. Quello che piaceva a me costava tipo duemilaecinquecento euri. Gli ho detto che era fuori dal mio budget, ma proprio di brutto. Sicchè è iniziata una trattativa divertente ma anche senza nessun tipo di esito positivo, ed ho imparato che per togliersi dai piedi un commerciante insistente, è necessario fargli un offerta che non scorderà mai più in vita sua. Gli ho detto che potevo dargli massimo centicinquantaeuri. Lui si è veramente risentito di questa offerta indecente, ha chiuso tutti i tappeti che fino ad allora mi aveva mostrato, in un battibaleno ha riposto tutto in ordine e a mala pena mi ha salutata verso l'uscita. Insomma l'ha presa proprio male eh! Però ho capito che l'unico sistema per sfuggire all'assalto di chi voleva vendermi qualcosa era quello di 1. non fare promesse 2. dire che avevo già comprato 3. fare un offerta bassissima 4. dire no in maniera definitiva, senza "torno dopo" e senza "si forse". Adottare insomma la stessa fermezza che adottano loro nello stressarti al contrario.
Dopo un giorno e mezzo di cammino tra mercatini, bancarelle, scimmie e serpenti, ho provato l'esperienza unica ed indimenticabile dell'hammam. Anche in questo caso, ci sono tanti ragazzi che volantinano svariati hammam nella piazza centrale di Djemma el Fna. Ne ho trovato uno sperduto in una viuzza della piazza, indicatomi il giorno precedente da un volantino con una offerta speciale. Qualche scalino per arrivare in cima alla reception dove mi ha accolto una ragazza dal capo scoperto. Ci siamo accordate sul prezzo e sul trattamento, mi ha fatto visitare il piccolo centro, ho pagato e finalmente mi ha fatto salire qualche altro scalino per accedere in un'altra stanza. Una piccola tende divideva lo spogliatoio dal piccolo salottino d'attesa. L'accappatoio, un paio di ciabatte ed un perizoma di carta riciclata sono forniti direttamente dal centro. Una ragazza mi accompagna in una stanzetta piena di vapore, gli occhiali mi si appannano. Chissà dove pensavo di andare che me li sono portati appresso! Vedo una figura vaga di donna, mi toglie gli occhiali e mi guida verso un tavolino di pietra coperto da un tappetino di spugna. Cerchiamo di capire che lingua parlare, ma lei non parla inglese e il mio francese è simile al mio arabo, quindi comunichiamo brevemente a gesti quando mi dice come mettermi e come girarmi. Il resto è fatto in silenzio. Distesa vedo due finestre quadrate sul soffitto bassissimo, è l'unica luce che illumina la stanza annebbiata. Mi lava con acqua tiepida e con il savon noir, un sapone dall'odore particolarissimo, fatto di olio e di olive nere. Dopo il primo lavaggio la signorina mi fa uno scrubbing di quelli mai visti in vita mia. Mi striglia come se fossi un cavallo, dalla testa ai piedi, e siccome non posso neanche parlare lascio che faccia tutto quello che deve fare, anche se vorrei poterle farle notare che sto dimagrendo di qualche etto con tutto quello scrubbing. Lei continua imperterrita. Mi risciacqua. Io sono stordita non capisco più niente. Mi fa una maschera al viso all'argilla, profumata di rose. Poi mi riscqua un'altra volta. Mi mette seduta e ricomincia a lavarmi con una spugna e con un altro sapone, questa volta mi lava dalla testa ai piedi e persino i capelli. Oddio i capelli noooooooo!!! Niente, non ho neanche il tempo di pensare, ormai sono sotto il suo controllo. Come una centrifuga, mi risciacqua per l'ennesima volta e poi mi butta fuori dalla stanza annebbiata. Infreddolita, nonostante l'enorme accappatoio addosso, resto seduta nel salottino d'attesa nella speranza che qualcuno venga a recuperarmi presto. Nel frattempo la signorina di prima mi porta un tè alla menta. L'ennesimo. Poi mi fa sciacquare la faccia con acqua di rosa, come se non bastasse.
Pochi istanti dopo mi fa cenno di scendere e mi accomodo in una stanzetta con le pareti nere e dei lettini con asciugamani rossi, una musica arabeggiante in sottofondo ed un profumo di olio di argan. L'argan pare essere un albero molto diffuso in Marocco, del quale non avevo mai sentito nominare. Da questo albero crescono bacche di colore verde dalle quale viene prodotto un olio utilizzato sia in cucina che in cosmesi.
La signorina mi massaggia per mezz'ora, dalla testa ai piedi. Vorrei che non finisse mai e invece proprio sul più bello mi dice che è ora di rivestirmi e di togliere le tende. L'esperienza però è davvero esaltante, rigenerante e anche un po' primitiva. E' come tornare bambini, quando la mamma ti faceva il bagno la domenica.
Ho mangiato un cous cous finissimo accompagnato da verdure saporitissime. Faccio fatica a guardare il cous cous confezionato che trovo qui adesso, mi sembra tutta un'altra storia. Infatti è proprio un'altra storia, così come lo è la vita in questo posto magico e colorato, fatto di gente che dalla mattina alla sera non fa altro che cercare il modo per guadagnare due soldi per poter mangiare, sempre con il sorriso ed un occhio di riguardo particolare per l'accoglienza degli stranieri. Si è vero, sono molto insistenti a volte, ma basta imparare a saper dire di no con garbo e tutto il resto è una passeggiata tra colori sgargianti, cieli azzurri (quando non piove), profumi di spezie, puzza di smog, le montagne innevate dell'Atlas, scimmie, serpenti e un sacco di tè alla menta.
Ho impiegato parecchi giorni prima di riprendermi da questo viaggio e la valigia è rimasta intatta nel salotto di casa per qualche giorno prima di disfarla. La sensazione è quella di volerci ritornare, presto, di visitare paesi limitrofi, il deserto e sentire nuovamente il sole caldo addosso, ed il calore umano che forse da queste parti manca un po'.
Speriamo che i marocchini mi perdonino per questa versione delle babouches sperimentale, dovrò sicuramente approfondire. Nell'attesa, se vi va di guardare qualche foto di Marrakech cliccate qui o sulla foto in basso, sottolineando che mai come in questo caso, le foto non rendono le stesse emozioni vissute e provate nei giorni trascorsi. Benritrovati.
Trascorsa la notte in bianco in aeroporto, grazie a Santa Ryanair che fa partire i suoi fantastici voli low cost, non tanto low cost ormai, alle 6 del mattino. Una famiglia di rumeni mi ha tenuto compagnia per tutta la notte, le signore non riuscivano a smettere di parlare, sembravano mitragliette impazzite, bevevano caffè nero bollente e si tenevano svegli fino al collasso totale proprio quando io avevo deciso che ormai di dormire non se ne parlava più.
L'aeroporto di Luton è minuscolo, i passeggeri in attesa del proprio volo stazionano in una saletta aperta tutti assieme. C'è chi cammina avanti e indietro, chi russa beatamente, chi dorme a terra e chi continua a guardare giornali a scrocco nell'edicola all'angolo della piazzetta.
Il volo è in orario. E vorrei vedere se alle 6 si permettono anche di ritardare. Superato brillantemente il check in e l'ansia di trasportare più del peso consentito, si sale a bordo e finalmente crollo in un sonno altalenante, interrotto più volte dalla voce assordante della hostess che cerca di vendermi patatine, caffè, gratta e vinci e popcorn. La ignoro infilandomi due auricolari nelle orecchie, ascoltando Tchaikovsky nella speranza che almeno lui mi addormenti per le prossime 3 ore e 20 di volo.
Eh si, il Marocco sta proprio giù giù, guardo la mappa sulla rivista di fronte a me, mi ricordo di quando ho volato più o meno alla stessa altezza per andare a Lanzarote, anni fa.
Il capitano dice che a Marrakech è nuvoloso e che pioviggina. Impreco in arabo ma poi mi dico "Seeee, figurati se in Marocco piove".
Come spesso accade, negli ultimi attimi di volo, socializzo con i miei vicini. Con gli inglesi si fa fatica a socializzare anche se stai in una camera di un metro quadrato per ore ed ore. Se non gli parli tu, loro ti ignorano allegramente. E' una coppia che sta andando in Marocco per una mini vacanza di golf. In realtà il marito golfeggia, la moglie prenderà il sole o raccatterà le palle.
Tiriamo tutti un bel sospiro di sollievo toccando terra. Nessun aereo dirottato, nessuna bomba, nessun pazzo a bordo, tutto regolare.
L'asfalto è umido e qualche nuvola in effetti c'è, ma il sole sta proprio dietro l'angolo e spunta. Alè, certo non ci sono 40 gradi ma l'aria si sente, è diversa.
Il primo impatto è stato immediato. Si percepisce esattamente di essere atterrati in un posto nuovo, diverso. Il controllo passaporti dura una vita, poi per fortuna nessuna valigia da ritirare e subito mi attende all'uscita, un poliziotto con un mitra e un mucchio di uomini vestiti di scuro tutti ad attendere qualcuno, molti di loro con dei cartelli in mano.
Dall'alto si nota subito, sembra una piazza di un piccolo centro, abitato solo da uomini. Le poche donne che circolano sono accompagnate da altri uomini o coperte. Gli uomini si baciano sulla guancia per salutarsi, le donne in alcuni casi stringono la mano ma niente più.
L'aereoporto Menara mi sembra bellissimo. I vetri sembrano ricamati a mano come i tatuaggi all'henna che le ragazze fanno in piazza, sulle mani dei turisti. Oltre alle sedioline di plastica su un lato, ci sono anche dei divanetti coloratissimi e una musica arabeggiante proveniente da un angolo dello stesso aeroporto che di per sé già sembra un mercatino.
Vengo trasportata in macchina dall'aereoporto al Riad Karim. Una tipica casa marocchina con sole 4 camere da letto, nel cuore della Medina, il centro storico di Marrakech. L'enorme macchina che mi trasporta, attraversa stradine piccolissime, piene di persone, di motorini, di frutta e verdura e di carne appesa.
I negozi a Marrakech sono "da fuori per fuori", ovvero non ci si entra come nei nostri tipici negozio di alimentari o macellerie, ma la merce è esposta e il compratore sta al di fuori.
Nonostante la notte trascorsa in bianco, arrivo al Riad, e, giusto il tempo di guardarmi in torno e una doccia, mi tuffo subito nelle vie colorate e l'avventura ha inizio.
Di nuovo, l'impressione è quella di essere circondata da tanti uomini, ogni tanto qualche donna con la busta in mano si intravede, coperte alcune, meno coperte le altre ma pur sempre con un vestire rigorosamente casto. Nonostante il mio aspetto tipicamente terronico, vengo notata come una turista e a turno i commercianti ad ogni angolo di strada, cercano di vendermi qualsisi cosa: dai tappeti all'olio per i massaggi, dalle spezie alle ciabatte.
Aihmè incappo subito in un "vicino di casa" il quale con un inglese quasi perfetto cerca di rifilarmi spezie che probabilmente stazionano nel suo negozio dai tempi del dopoguerra. Un po' stizzita io gli dico che ora me ne vorrei andare un po' a zonzo, che sono appena arrivata e non mi va di fare già shopping. Lui mi fa promettere, con tanto di stretta di mano, che tornerò a comprare le sue fantastiche spezie e che il prezzo sarà sicuramente vantaggioso, non come quelle che vendono laggiù. Ho fatto una cosa che non avrei mai dovuto fare. Promettere. Una promessa è una promessa ovunque, ma a Marrakech lo è in maniera particolare.
I commercianti si ricordano di te, se gli dici "torno dopo", loro ti fermano ogni volta che passi, e ti chiedono se il "dopo" è finalmente arrivato e tu continui a dire, "torno dopo" e loro imprecano qualcosa in arabo e anche a questo giro te li sei levati dai piedi.
Mi ero messa in testa ad un certo punto di fare l'affare del secolo e comprare un tappeto. Ma non un tappetino piccolo, una roba enooooorme. Sicchè sono entrata in uno dei tanti negozi di tappeti, del resto anche un po' guidata dai commercianti stessi, e sono entrata nel paradiso del tappeto per eccellenza. Tappeti ovunque. Gialli, rossi, gialli e rossi, verde, scurino, scuretto, carino, bello, enorme, caro. Quello che piaceva a me costava tipo duemilaecinquecento euri. Gli ho detto che era fuori dal mio budget, ma proprio di brutto. Sicchè è iniziata una trattativa divertente ma anche senza nessun tipo di esito positivo, ed ho imparato che per togliersi dai piedi un commerciante insistente, è necessario fargli un offerta che non scorderà mai più in vita sua. Gli ho detto che potevo dargli massimo centicinquantaeuri. Lui si è veramente risentito di questa offerta indecente, ha chiuso tutti i tappeti che fino ad allora mi aveva mostrato, in un battibaleno ha riposto tutto in ordine e a mala pena mi ha salutata verso l'uscita. Insomma l'ha presa proprio male eh! Però ho capito che l'unico sistema per sfuggire all'assalto di chi voleva vendermi qualcosa era quello di 1. non fare promesse 2. dire che avevo già comprato 3. fare un offerta bassissima 4. dire no in maniera definitiva, senza "torno dopo" e senza "si forse". Adottare insomma la stessa fermezza che adottano loro nello stressarti al contrario.
Dopo un giorno e mezzo di cammino tra mercatini, bancarelle, scimmie e serpenti, ho provato l'esperienza unica ed indimenticabile dell'hammam. Anche in questo caso, ci sono tanti ragazzi che volantinano svariati hammam nella piazza centrale di Djemma el Fna. Ne ho trovato uno sperduto in una viuzza della piazza, indicatomi il giorno precedente da un volantino con una offerta speciale. Qualche scalino per arrivare in cima alla reception dove mi ha accolto una ragazza dal capo scoperto. Ci siamo accordate sul prezzo e sul trattamento, mi ha fatto visitare il piccolo centro, ho pagato e finalmente mi ha fatto salire qualche altro scalino per accedere in un'altra stanza. Una piccola tende divideva lo spogliatoio dal piccolo salottino d'attesa. L'accappatoio, un paio di ciabatte ed un perizoma di carta riciclata sono forniti direttamente dal centro. Una ragazza mi accompagna in una stanzetta piena di vapore, gli occhiali mi si appannano. Chissà dove pensavo di andare che me li sono portati appresso! Vedo una figura vaga di donna, mi toglie gli occhiali e mi guida verso un tavolino di pietra coperto da un tappetino di spugna. Cerchiamo di capire che lingua parlare, ma lei non parla inglese e il mio francese è simile al mio arabo, quindi comunichiamo brevemente a gesti quando mi dice come mettermi e come girarmi. Il resto è fatto in silenzio. Distesa vedo due finestre quadrate sul soffitto bassissimo, è l'unica luce che illumina la stanza annebbiata. Mi lava con acqua tiepida e con il savon noir, un sapone dall'odore particolarissimo, fatto di olio e di olive nere. Dopo il primo lavaggio la signorina mi fa uno scrubbing di quelli mai visti in vita mia. Mi striglia come se fossi un cavallo, dalla testa ai piedi, e siccome non posso neanche parlare lascio che faccia tutto quello che deve fare, anche se vorrei poterle farle notare che sto dimagrendo di qualche etto con tutto quello scrubbing. Lei continua imperterrita. Mi risciacqua. Io sono stordita non capisco più niente. Mi fa una maschera al viso all'argilla, profumata di rose. Poi mi riscqua un'altra volta. Mi mette seduta e ricomincia a lavarmi con una spugna e con un altro sapone, questa volta mi lava dalla testa ai piedi e persino i capelli. Oddio i capelli noooooooo!!! Niente, non ho neanche il tempo di pensare, ormai sono sotto il suo controllo. Come una centrifuga, mi risciacqua per l'ennesima volta e poi mi butta fuori dalla stanza annebbiata. Infreddolita, nonostante l'enorme accappatoio addosso, resto seduta nel salottino d'attesa nella speranza che qualcuno venga a recuperarmi presto. Nel frattempo la signorina di prima mi porta un tè alla menta. L'ennesimo. Poi mi fa sciacquare la faccia con acqua di rosa, come se non bastasse.
Pochi istanti dopo mi fa cenno di scendere e mi accomodo in una stanzetta con le pareti nere e dei lettini con asciugamani rossi, una musica arabeggiante in sottofondo ed un profumo di olio di argan. L'argan pare essere un albero molto diffuso in Marocco, del quale non avevo mai sentito nominare. Da questo albero crescono bacche di colore verde dalle quale viene prodotto un olio utilizzato sia in cucina che in cosmesi.
La signorina mi massaggia per mezz'ora, dalla testa ai piedi. Vorrei che non finisse mai e invece proprio sul più bello mi dice che è ora di rivestirmi e di togliere le tende. L'esperienza però è davvero esaltante, rigenerante e anche un po' primitiva. E' come tornare bambini, quando la mamma ti faceva il bagno la domenica.
Ho mangiato un cous cous finissimo accompagnato da verdure saporitissime. Faccio fatica a guardare il cous cous confezionato che trovo qui adesso, mi sembra tutta un'altra storia. Infatti è proprio un'altra storia, così come lo è la vita in questo posto magico e colorato, fatto di gente che dalla mattina alla sera non fa altro che cercare il modo per guadagnare due soldi per poter mangiare, sempre con il sorriso ed un occhio di riguardo particolare per l'accoglienza degli stranieri. Si è vero, sono molto insistenti a volte, ma basta imparare a saper dire di no con garbo e tutto il resto è una passeggiata tra colori sgargianti, cieli azzurri (quando non piove), profumi di spezie, puzza di smog, le montagne innevate dell'Atlas, scimmie, serpenti e un sacco di tè alla menta.
Ho impiegato parecchi giorni prima di riprendermi da questo viaggio e la valigia è rimasta intatta nel salotto di casa per qualche giorno prima di disfarla. La sensazione è quella di volerci ritornare, presto, di visitare paesi limitrofi, il deserto e sentire nuovamente il sole caldo addosso, ed il calore umano che forse da queste parti manca un po'.
Speriamo che i marocchini mi perdonino per questa versione delle babouches sperimentale, dovrò sicuramente approfondire. Nell'attesa, se vi va di guardare qualche foto di Marrakech cliccate qui o sulla foto in basso, sottolineando che mai come in questo caso, le foto non rendono le stesse emozioni vissute e provate nei giorni trascorsi. Benritrovati.
IngredientiIngredienti per il ripieno
- 250gr di farina
- 80gr di burro fuso
- 1 pizzico di sale
- 1 po' di acqua di rose
- 200gr di arachidi
- 65gr di zucchero a velo
- un po' di acqua di rose
Preparate la pasta mescolando tutti gli ingredienti fino ad ottenere un composto compatto. Riponete in frigo per mezz'ora. Tritate finemente le arachidi con lo zucchero a velo e aggiungete acqua di rose quanto basta per compattare il tutto. Riprendete la pasta e stendetela ad uno spessore di circa 4mm formato un rettangolo. Riponete un po' di ripieno nel centro, arrotolate a forma di serpente chiudendo bene i bordi. Tagliate in senso obliquo e con le dita chiudete un lato del pezzettino tagliato per formare la scarpetta. Ripetete l'operazione con le altre scarpette, infornatele a 180 C per circa 12 minuti. Glassate con miele a piacere.
Sognando: sognare confusione di oggetti indica affare che va in porto: sognare confusione di idee indica aiuti da parte di parenti; sognare confusione di gente indica timidezza e diffidenza; sognare confusione di veicoli indica incostanza in amore.
Parolando: Marrakech (in arabo مراكش, traslitterato Marrākiš) significa "reame d’occidente" ad indicare la sua posizione geografica rispetto ai luoghi di origine delle culture arabe. Dunque, lo stato del Marocco, prende il nome da Marrakech e non viceversa.
Archiviando: clicca qui per scaricare questa ricetta in formato .pdf
Parolando: Marrakech (in arabo مراكش, traslitterato Marrākiš) significa "reame d’occidente" ad indicare la sua posizione geografica rispetto ai luoghi di origine delle culture arabe. Dunque, lo stato del Marocco, prende il nome da Marrakech e non viceversa.
Archiviando: clicca qui per scaricare questa ricetta in formato .pdf
English please
Peanut Slippers
Ingredients
- 250gr flour
- 80gr melted butter
- 1 pinch salt
- rose water
Ingredients for the filling
- 200gr peanuts
- 65gr icing sugar
- rose water
Prepare the dough by mixing all ingredients until you get a smooth ball. Put in the fridge for 30 minutes. Finely mix the peanuts with icing sugar and rose water until everything comes together. Take a piece of the dough, flatten it into a rectangular shape, put a bit of the filling in the middle and roll it to close the borders. Cut a piece obliquely and work it with your fingers to close 1 of the borders so a small shoe is created. Repeat with the rest of the dough and filling, then bake the little shoes at 180 C for 12 minutes. Glaze with honey if you like.
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• The Italian Garden, London
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Published
Blikki - Feb/Mar 2013